Andare in missione ad gentes, lasciando tutto: famiglia,
amici, progetti, comodità, sicurezze, etc., è risultato per tanti dei miei cari
un motivo di scandalo. Non lo si è capito proprio. E devo dire che, almeno in principio,
non riuscivo a comprendere neanch’io le ragioni che c’erano dietro all’opposizione
e alle critiche sollevate da tanti che, volendo il mio bene o non, si sono
mostrati contrari alla mia intenzione di venire a lavorare con il PIME in
Bangladesh. Ma perché appare così strano
che uno come me abbia la voglia di andare ai confini, alle periferie del mondo,
non solo esistenziali ma anche geografiche, per evangelizzare? Come mai questa
volontà di andare in missione non è vista come normale ma come una eccezione?
Io ho accolto veramente
con gioia la notizia che il mio vescovo, informato sulla mia disponibilità a
partire in missione, abbia espresso la sua soddisfazione. Dunque è stato per me
un grande motivo di felicità perché da molto tempo desideravo fare un’esperienza
simile a quella dei primi cristiani: vivere e lavorare tra e per quelli a cui
non è arrivato ancora il messaggio del vangelo oppure lo hanno rigettato; potere
essere testimone del vangelo in una società dove siamo minoranza; camminare
verso gli altri in tutti i sensi che questa parola può avere; cercare i più
lontani...
Tanti però, a
cominciare dai miei più cari parenti ed amici, nell’apprendere questa notizia sono
rimasti invece stupiti, meravigliati e forse scandalizzati. Non sono riusciti subito
ad assimilare come fosse possibile che volessi andare così lontano. So, e ne
sono certo, che dietro questi pensieri non
c’è niente di cattivo , ma non posso non chiedermi perché diventa così
difficile capire, accettare e incoraggiare questa scelta.
Non posso qui
addentrarmi nei dettagli, perciò subito vado al nocciolo della questione che,
secondo me, sta alla radice di questo atteggiamento: ci manca la fede. Fede,
si, come quella dei primi missionari cristiani e come quella di tanti altri che allo stesso
modo lungo i secoli si sono imbattuti contro ogni avversità e pericolo per
portare a tutti la buona novella di Gesù di Nazareth; non hanno risparmiato
niente per loro e rinunciando a tutto (beni, comodità, sicurezze, etc.) e a
tutti (famiglia, amici, coppia, etc.) per poter, liberi nello spirito, si sono
fatti tutto a tutti per raggiungere il maggior numero possibile per Cristo. Essi
sono andati e girano ancora oggi dove lo Spirito li spinge per rendere tutti
partecipi della gioia di credere nel Dio rivelato da Gesù.
Penso pertanto che
questo sia il problema, questo il nucleo dell’assunto: ci manca una fede tale
da costringerci a uscire dalle nostre frontiere esistenziali e geografiche alla
ricerca dell’altro. Perciò vorrei ribadire con tutto il mio cuore ciò che
sottostà alla mia scelta: voglio comunicare ad altri, specialmente i più
lontani, il tesoro che ho trovato in Gesù. Desidero dialogare con loro,
mostrare e guardare anche in loro il volto di Gesù. Non ho nessun’altra
ambizione. Non so se qualcuno si farà cristiano; mi auguro che saranno migliori e che io stesso
diventi più buono, più ricco di umanità.
Termino con un
aneddoto. Poco tempo fa, al telefono mia madre mi riferiva molto impressionata
ciò che una nostra cara amica diceva: “Tuo figlio è diventato pazzo, come mai
ha fatto questo ed è partito così lontano?”. “Ha ragione lei - ho detto a mia
mamma - ma non ti meravigliare. È stato e sempre sarà così. Queste cose non le
capiscono tutti. Davanti al mondo, ai senza fede, a coloro che considerano e
giudicano l’esistenza come una carriera verso il potere, la fama o la
ricchezza, una cosa del genere non la si può concepire”. Umanamente questa è
una pazzia, perché considerato senza la fede non ha proprio senso. Senza fede
il celibato, la dedizione a tempo pieno agli altri, la consacrazione delle
proprie forze per servire Dio e i fratelli non ha significato. È qualcosa di
folle, di vuoto. Ma così opera Dio tramite una logica diversa dalla nostra. Una
logica, questa, che solo si può intravedere e accettare attraverso la fede in
Colui che essendo Dio si è abbassato alla condizione di schiavo e di servo per
farci fratelli e figli tutti dell’unico Dio.
Pbro. Belisario Ciro Montoya
PIME Settembre 2013
Publicado en la Revista InfoPime
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