Sobre este Blog

He decidido finalmente hacer públicos mis Apuntes de Misión. Son experiencias de vida que me han marcado y que intento presentar resumidamente para hacer más ágil y amena su lectura.


SOBRE EL AUTOR
El presbítero Belisario Ciro Montoya, pertenece a la Diócesis de Sonsón Rionegro en Colombia y, asociado al PIME (Pontificio instituto de misiones extranjeras), desempeña su ministerio en Bangladesh. Ordenado diácono el 24 de junio del 2011, es sacerdote desde el 29 de octubre del mismo año.

Giovanni 8, 2-11


Giustizia Umana e Giustizia di Dio   

Testo del Vangelo:

2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7 E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».


Riflessione

      B. Pascal diceva che gli uomini mai compiono il male così gioiosamente e allegramente come quando lo fanno per motivazioni religiose.

       Infatti, uccidere questa donna non avrebbe provocato per nessuno dei suoi giustizieri un rimorso di coscienza, anzi, ne sarebbero stati fieri, perché la loro condotta avrebbe glorificato Dio. Cioè avrebbero ucciso una peccatrice per estirpare il peccato da mezzo a loro; poiché cosi è scritto nella Sua legge: «se una donna commette adulterio sarà lapidata, perché svanisca il peccato da mezzo a voi» (Cf. Lv 20).

       Cari fratelli: Non possiamo non riflettere, leggendo questo testo, sulla realtà di sofferenza dei cristiani perseguitati oggi, particolarmente in tante nazioni d’Oriente. Una donna come questa del vangelo, ci si presenta proprio oggi in carne viva nella figura di Asia Bibi. Ambedue donne, ambedue giudicate secondo ciò che sarebbe il volere, la giustizia di Dio o di Allah. Asia Bibi aspetta nel Pakistan l’esecuzione. Il suo delitto: offendere Allah o il suo profeta, per cui secondo la legge della sharia, che comanda di uccidere chi bestemmia contro Maometto, essa deve morire.

       Però Asia Bibi purtroppo non è l’unica. Lei è divenuta il simbolo. Ma lInternational Bulletin of Missionary Research nella sua relazione di quest’anno sullo status globale della missione, stima che in media vi siano stati 270 nuovi martiri cristiani ogni 24 ore negli ultimi 10 anni. Ciò vuol dire che tra il 2000 e il 2010 sono stati martirizzati intorno ad un milione di cristiani.     Si tratta di una realtà sconvolgente. Ed è qualcosa quasi incredibile che ci sia nel nostro secolo.

       Ma dobbiamo stare attenti: Facilmente potremmo pensare e concludere che il problema di tutto ciò risieda nel corano o in Maometto o nei suoi particolari comandamenti. Invece ricordiamoci che molto tempo fa anche noi cristiani non avevamo dubbi nel condannare o bruciare al rogo i blasfemi, gli eretici, e tutti quelli che non si attenevano alla nostra legge, alla nostra interpretazione della giustizia divina.

       Quindi, qual’è l’origine di questo problema? Forse sia Dio o Allah che non è giusto e comanda o permette agli uomini compiere l’ingiustizia, perfino nel suo nome? Come possiamo noi discernere l’autentico volere e la vera giustizia di Dio?
       
Il beato Giovanni Paolo II, in proposito, commentando questo brano del vangelo diceva: «Il fatto del Vangelo odierno non ci induce forse a paragonare queste due "giustizie"? La giustizia umana e quella di Dio? Non vediamo come la giustizia umana è limitata? Come talvolta il "summum ius" può facilmente dimostrarsi "summa iniuria"?» (Juan Pablo II, Insegnamenti 1989).
      
Sfortunatamente la tentazione di considerarci giudici degli altri davanti a Dio e peggio ancora in nome di Dio ci sta sempre dinanzi. Che possiamo dire allora? Quale sarebbe l’atteggiamento giusto davanti a questi fatti di ingiustizia così spregevoli verso i nostri fratelli nella fede? Li condanniamo? Bastano dunque le parole? O cosa possiamo fare, quale reazione e più conveniente? Ci sdegniamo? Oppure li sottovalutiamo e restiamo indifferenti lasciando passare , lasciando correre.
       
È chiaro intanto che il problema non è Mosè nè la sua legge, non è Maometto nè il suo Corano, nè tantomeno Gesù o il suo vangelo. Il problema siamo sempre noi, uomini ciechi, sia che seguiamo Mosè, Maometto o Gesù. Perché sempre vogliamo giudicare tutto e tutti in nome di Dio, ma non si tratta più che della pericolosa pretesa di divinizzare la nostra giustizia umana.
       
Cari amici: Davanti a Gesù fu portata questa donna con l’obbiettivo di metterlo alla prova e testare il suo modo di far giustizia. È Gesù ci indica un modo assai nuovo di farla. Il suo gesto di scrivere per terra, dimostra che lui ci conosce e ci capisce. Sa di che cosa siamo fatti, sa bene che la sua legge è stata scritta sulla polvere. Perció il suo verdetto è: «chi è senza peccato scagli per primo la pietra». O, per dirla parafrasando un’altra sentenza evangelica: «togliete prima la trave dai vostri occhi e poi ci vedrete bene per togliere la pagliuzza dall'occhio di questa donna» (Cf. Mt. 7,5). Quindi «il figlio dell’uomo non è venuto per condannare». E se Dio, Gesù, non ci condanna: Quale uomo può allora condannarci? E noi, chi siamo per condannare gli altri?
       
Come cristiani, cioè unti, noi dobbiamo essere altri Cristo, e a maggior ragione se sacerdoti, amministratori della misericordia di Dio nel confessionale. Siamo chiamati dunque a capire come Gesù la debolezza di tutti gli uomini per risollevarli dal peccato, coscienti che la legge divina è stata scritta su una carne che Dio ha sollevato dalla polvere, una carne perciò debole e tante volte piena di sporcizia, ma innanzitutto amata da Dio in modo folle.
       
Noi non ci possiamo permettere un’atteggiamento come quello dei farisei del vangelo o delle fazioni fanatiche musulmane d’oggi. Anzi, così come «Cristo morì per gli empi», noi dovremmo essere pronti a donare la nostra vita, non solo per gli amici, ma persino per i propri nemici: il cristiano non vince il nemico uccidendolo, ma lasciandosi uccidere da lui, pronunciando le parole del suo Signore: «perdonali o Padre, perché non sanno quello che fanno», e così siano pure loro salvati. Come scrive Paolo ai Romani: Anche se solo a stento, qualcuno è disposto a morire per un giusto o per una persona buona, Dio ci dimostra il suo amore nel fatto che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Cf. Romani, 5, 6-8).
       
Qualcuno infatti diceva che non poteva credere in nessuna religione. Non riusciva a capire come i loro adetti potessimo gioire ed essere tranquilli, dicendosi salvati, guardando intorno altri invece secondo loro condannati. Ma no. Questo non è essere cristiano. Noi siamo messaggeri di salvezza e mai di codanna o non siamo veramente cristiani! Gli uomini si sentono condannati e perció oggi più che mai, hanno bisogno di questo messaggio.
       
Il martirio non ci può scoraggiare. Andiamo avanti anche incontro a questo senza paura, confortati in Cristo che ha vinto il mondo. Disposti a subire l’ingiustizia prima che provocarla.
       
Fratelli: Forse non ci siamo ancora accorti, ma il cammino della Chiesa di tutti i tempi non è e non può essere diverso a quello del suo Maestro e dei suoi primi discepoli. Anche Gesù è morto come un bestemmiatore, condannato dalla religione istituita, rendendo testimonianza, cioè Martyria della verità. E pure oggi noi, Chiesa di Dio, prendiamo il posto della donna peccatrice ogni volta che siamo giudicati dal mondo. Questo mondo accusatore che non dubita nello scagliare contro di noi ogni tipo di schiaffi, che non ha riguardo nello scoprire la nostra nudità, le nostre debolezze e i nostri peccati. Ma come è successo all’adultera anche noi possiamo sentirci dire oggi da Gesù: “Chiesa mia, ti ho difesa dalla lapidazione, ti ho liberata dalla morte inevitabile. Ma non ti ho liberata dalla voce della tua coscienza, dal comando Divino che è dentro di te. Perciò, anche se il mondo ti vuole condannare, io non ti condanno. Và in pace! E d'ora in poi non peccare più”.

Belisario Ciro Montoya
Cappella del Collegio Maria Mater Ecclesiae
Adorazione Eucaristica 26 Maggio 2011




JORNADA MUNDIAL DE ORACIÓN POR LAS VOCACIONES


MENSAJE DEL PAPA BENEDICTO XVI
PARA LA XLVIII JORNADA MUNDIAL
DE ORACIÓN POR LAS VOCACIONES
15 DE MAYO DE 2011 – IV DOMINGO DE PASCUA
Tema: «Proponer las vocaciones en la Iglesia local»

Queridos hermanos y hermanas
La XLVIII Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones que se celebrará el 15 de mayo de 2011, cuarto Domingo de Pascua, nos invita a reflexionar sobre el tema: «Proponer las vocaciones en la Iglesia local». Hace setenta años, el Venerable Pío XII instituyó la Obra Pontificia para las Vocaciones Sacerdotales. A continuación, animadas por sacerdotes y laicos, obras semejantes fueron fundadas por Obispos en muchas diócesis como respuesta a la invitación del Buen Pastor, quien, «al ver a las gentes se compadecía de ellas, porque estaban extenuadas y abandonadas, como ovejas que no tienen pastor», y dijo: «La mies es abundante, pero los trabajadores son pocos; rogad, pues, al Señor de la mies que mande trabajadores a su mies» (Mt9, 36-38).
El arte de promover y de cuidar las vocaciones encuentra un luminoso punto de referencia en las páginas del Evangelio en las que Jesús llama a sus discípulos a seguirle y los educa con amor y esmero. El modo en el que Jesús llamó a sus más estrechos colaboradores para anunciar el Reino de Dios ha de ser objeto particular de nuestra atención (cf. Lc 10,9). En primer lugar, aparece claramente que el primer acto ha sido la oración por ellos: antes de llamarlos, Jesús pasó la noche a solas, en oración y en la escucha de la voluntad del Padre (cf. Lc 6, 12), en una elevación interior por encima de las cosas ordinarias. La vocación de los discípulos nace precisamente en el coloquio íntimo de Jesús con el Padre. Las vocaciones al ministerio sacerdotal y a la vida consagrada son primordialmente fruto de un constante contacto con el Dios vivo y de una insistente oración que se eleva al «Señor de la mies» tanto en las comunidades parroquiales, como en las familias cristianas y en los cenáculos vocacionales.
El Señor, al comienzo de su vida pública, llamó a algunos pescadores, entregados al trabajo a orillas del lago de Galilea: «Veníos conmigo y os haré pescadores de hombres» (Mt 4, 19). Les mostró su misión mesiánica con numerosos «signos» que indicaban su amor a los hombres y el don de la misericordia del Padre; los educó con la palabra y con la vida, para que estuviesen dispuestos a ser los continuadores de su obra de salvación; finalmente, «sabiendo que había llegado la hora de pasar de este mundo al Padre» (Jn 13,1), les confió el memorial de su muerte y resurrección y, antes de ser elevado al cielo, los envió a todo el mundo con el mandato: «Id y haced discípulos de todos los pueblos» (Mt 28,19).
La propuesta que Jesús hace a quienes dice «¡Sígueme!» es ardua y exultante: los invita a entrar en su amistad, a escuchar de cerca su Palabra y a vivir con Él; les enseña la entrega total a Dios y a la difusión de su Reino según la ley del Evangelio: «Si el grano de trigo no cae en tierra y muere, queda infecundo; pero si muere, da mucho fruto» (Jn 12,24); los invita a salir de la propria voluntad cerrada en sí misma, de su idea de autorrealización, para sumergirse en otra voluntad, la de Dios, y dejarse guiar por ella; les hace vivir una fraternidad, que nace de esta disponibilidad total a Dios (cf.Mt 12, 49-50), y que llega a ser el rasgo distintivo de la comunidad de Jesús: «La señal por la que conocerán que sois discípulos míos, será que os amáis unos a otros» (Jn 13, 35).
También hoy, el seguimiento de Cristo es arduo; significa aprender a tener la mirada de Jesús, a conocerlo íntimamente, a escucharlo en la Palabra y a encontrarlo en los sacramentos; quiere decir aprender a conformar la propia voluntad con la suya. Se trata de una verdadera y propia escuela de formación para cuantos se preparan para el ministerio sacerdotal y para la vida consagrada, bajo la guía de las autoridades eclesiásticas competentes. El Señor no deja de llamar, en todas las edades de la vida, para compartir su misión y servir a la Iglesia en el ministerio ordenado y en la vida consagrada, y la Iglesia «está llamada a custodiar este don, a estimarlo y amarlo. Ella es responsable del nacimiento y de la maduración de las vocaciones sacerdotales» (Juan Pablo II, Exhort. ap. postsinodal Pastores dabo vobis, 41). Especialmente en nuestro tiempo en el que la voz del Señor parece ahogada por «otras voces» y la propuesta de seguirlo, entregando la propia vida, puede parecer demasiado difícil, toda comunidad cristiana, todo fiel, debería de asumir conscientemente el compromiso de promover las vocaciones. Es importante alentar y sostener a los que muestran claros indicios de la llamada a la vida sacerdotal y a la consagración religiosa, para que sientan el calor de toda la comunidad al decir «sí» a Dios y a la Iglesia. Yo mismo los aliento, como he hecho con aquellos que se decidieron ya a entrar en el Seminario, a quienes escribí: «Habéis hecho bien. Porque los hombres, también en la época del dominio tecnológico del mundo y de la globalización, seguirán teniendo necesidad de Dios, del Dios manifestado en Jesucristo y que nos reúne en la Iglesia universal, para aprender con Él y por medio de Él la vida verdadera, y tener presentes y operativos los criterios de una humanidad verdadera» (Carta a los Seminaristas, 18 octubre 2010).
Conviene que cada Iglesia local se haga cada vez más sensible y atenta a la pastoral vocacional, educando en los diversos niveles: familiar, parroquial y asociativo, principalmente a los muchachos, a las muchachas y a los jóvenes como hizo Jesús con los discípulos—  para que madure en ellos una genuina y afectuosa amistad con el Señor, cultivada en la oración personal y litúrgica; para que aprendan la escucha atenta y fructífera de la Palabra de Dios, mediante una creciente familiaridad con las Sagradas Escrituras; para que comprendan que adentrarse en la voluntad de Dios no aniquila y no destruye a la persona, sino que permite descubrir y seguir la verdad más profunda sobre sí mismos; para que vivan la gratuidad y la fraternidad en las relaciones con los otros, porque sólo abriéndose al amor de Dios es como se encuentra la verdadera  alegría y la plena realización de las propias aspiraciones. «Proponer las vocaciones en la Iglesia local», significa tener la valentía de indicar, a través de una pastoral vocacional atenta y adecuada, este camino arduo del seguimiento de Cristo, que, al estar colmado de sentido, es capaz de implicar toda la vida.
Me dirijo particularmente a vosotros, queridos Hermanos en el Episcopado. Para dar continuidad y difusión a vuestra misión  de salvación en Cristo, es importante incrementar cuanto sea posible «las vocaciones sacerdotales y religiosas, poniendo interés especial en las vocaciones misioneras» (Decr. Christus Dominus, 15). El Señor necesita vuestra colaboración para que sus llamadas puedan llegar a los corazones de quienes ha escogido. Tened cuidado en la elección de los agentes pastorales para el Centro Diocesano de Vocaciones, instrumento precioso de promoción y organización de la pastoral vocacional y de la oración que la sostiene y que garantiza su eficacia. Además, quisiera recordaros, queridos Hermanos Obispos, la solicitud de la Iglesia universal por una equilibrada distribución de los sacerdotes en el mundo. Vuestra disponibilidad hacia las diócesis con escasez de vocaciones es una bendición de Dios para vuestras comunidades y para los fieles es testimonio de un servicio sacerdotal que se abre generosamente a las necesidades de toda la Iglesia.
El Concilio Vaticano II ha recordado explícitamente que «el deber de fomentar las vocaciones pertenece a toda la comunidad de los fieles, que debe procurarlo, ante todo, con una vida totalmente cristiana» (Decr. Optatam totius, 2). Por tanto, deseo dirigir un fraterno y especial saludo y aliento, a cuantos colaboran de diversas maneras en las parroquias con los sacerdotes. En particular, me dirijo a quienes pueden ofrecer su propia contribución a la pastoral de las vocaciones: sacerdotes, familias, catequistas, animadores. A los sacerdotes les recomiendo que sean capaces de dar testimonio de comunión con el Obispo y con los demás hermanos, para garantizar el humus vital a los nuevos brotes de vocaciones sacerdotales. Que las familias estén «animadas de espíritu de fe, de caridad y de piedad» (ibid), capaces de ayudar a los hijos e hijas a acoger con generosidad la llamada al sacerdocio y a la vida consagrada. Los catequistas y los animadores de las asociaciones católicas y de los movimientos eclesiales, convencidos de su misión educativa, procuren «cultivar a los adolescentes que se les han confiado, de forma que éstos puedan sentir y seguir con buen ánimo la vocación divina» (ibid).
Queridos hermanos y hermanas, vuestro esfuerzo en la promoción y cuidado de las vocaciones adquiere plenitud de sentido y de eficacia pastoral cuando se realiza en la unidad de la Iglesia y va dirigido al servicio de la comunión. Por eso, cada momento de la vida de la comunidad eclesialcatequesis, encuentros de formación, oración litúrgica, peregrinaciones a los santuarios— es una preciosa oportunidad para suscitar en el Pueblo de Dios, particularmente entre los más pequeños y en los jóvenes, el sentido de pertenencia a la Iglesia y la responsabilidad de la respuesta a la llamada al sacerdocio y a la vida consagrada, llevada a cabo con elección libre y consciente.
La capacidad de cultivar las vocaciones es un signo característico de la vitalidad de una Iglesia local. Invocamos con confianza e insistencia la ayuda de la Virgen María, para que, con el ejemplo de su acogida al plan divino de la salvación y con su eficaz intercesión, se pueda difundir en el interior de cada comunidad la disponibilidad a decir «sí» al Señor, que llama siempre a nuevos trabajadores para su mies. Con este deseo, imparto a todos de corazón mi Bendición Apostólica.
Vaticano, 15 noviembre 2010